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Regione Piemonte

Origini

Le sue origini sono antichissime e risalgono all’epoca romano-augustea quando, con la fondazione di Libarna, prese vita una rete viaria comprendente il cammino che appunto passava da San Cristoforo, ossia la strada che da Libarna portava all’agro degli Stazielli, antica popolazione appartenente al ceppo dei Liguri Montani.002-Torre-350 L’importanza strategica e commerciale dell’insediamento di San Cristoforo portò, nel X sec., a cintarlo di mura, con porta castellana, fossati e bastioni, e all’edificazione di un’alta e solida torre a poligono irregolare, tuttora esistente e che, isolata, serviva un tempo da faro di guida nella fitta boscaglia circostante.

Questa era chiamata “Torre del Gazzolo” (il nome deriva dal latino Gadium= bosco) e sulla sua sommità si accendevano i fuochi per segnalare lo sbarco dei Saraceni sulle sponde del mare ligustico, una sorta di ripetitore di altri segnali dalle torri di Parodi, Albarola e Monte Culma.
Fondamentale via di collegamento tra zona alpina e di riviera, la suddetta antica strada fu ancora, nel 1251, oggetto di convenzioni tra Genova e Pavia: “…videlicet a plebe semoli versus Gavius, et sicut vadit strata ab ipsa plebe usque ad Sanctum Crispoforum, et a S.Crispoforo sicut descendit ad acquam que dicitur Abgiosa e ab Abgiosa sicut descendit ad Castrum Vetus.”

La zona appartenne in prima agli Obertenghi, Marchesi di Parodi, i quali, secondo la tradizione, avrebbero fatto costruire da questo luogo a San Cristoforo, una strada segreta che, a tratti, ora scoperti ora sotterranei, metteva in comunicazione i due castelli. Il possedimento, nel 1313, passò agli Spinola di Luccoli, quando l’imperatore Enrico VII lo concesse in feudo a Opizzino Spinola (concessione confermata nel 1323).
Il borgo fu sottoposto a continue scorrerie e ad alterne occupazioni: conteso a lungo dal Comune di Parodi, che ne ambiva il possesso, il paese fu definitivamente assegnato agli Spinola dal Senato della Repubblica Genovese nel 1399.
Le guerre del XVII sec. non risparmiarono il feudo di San Cristoforo che, in quel periodo, fu teatro di cruente e disastrose guerre di confini; eserciti stranieri vi sostarono, danneggiandolo (nel 1625 l’esercito franco-savoiardo e nel 1654 le truppe piemontesi). Con tutto ciò esso rimase di gran lunga il più importante tra i feudi circonvicini.
Tra il XVII e il XVIII sec. passò dagli Spinola ai Doria di Montaldeo e rimase feudo imperiale fino al 1736, anno in cui, in virtù del Trattato di Vienna, diventò parte del Regno di Sardegna. Nel XVIII fu nuovamente assediato dalle truppe francesi ed austriache e passò per eredità, nel 1792, alla proprietà dei De Fornari.
Nel 1798 fu teatro dello scontro tra la popolazione insorta di Carrosio e le milizie di Castelletto d’Orba, al cui dominio volevano sottrarsi; ottenuta la vittoria, i Carrosiani pretesero da San Cristoforo un forte compenso per lasciare i suoi territori.
All’epoca di Napoleone, il borgo dovette ancora subire la presenza dei francesi, che, nel 1799, installarono proprio tra le sue mura le artiglierie già collocate in precedenza a Parodi. San Cristoforo tornò di proprietà degli Spinola nel 1826. Il castello con numerosi possedimenti, rimase al ramo degli Spinola Carpeneto fino al 1957, quando fu venduto a privati. Attualmente è in via di ristrutturazione, ed è previsto un suo futuro utilizzo a fini turistico-culturali.

I confini del territorio

Presso la Biblioteca civica Berio di Genova è conservata una serie di diplomi del Sacro Romano Impero: in essa si contano cinque pergamene riguardanti il feudo imperiale di San Cristoforo, la più antica delle quali risulta essere l’originale dell’investitura fatta, il 14 novembre 1598, dall’imperatore Rodolfo II a Gio’ Ambrogio D’Oria. In questo diploma abbiamo la descrizione, sommaria ma già sufficiente per un’indicazione attuale, dei confini del territorio: “Totum castrum S.Christophori, cum suo territorio et finibus qui sunt a loco qui vocatur a Monte Pagano veniendo per Costam Longam usque in flumen Arbiosum eundo, et veniendo per ipsum lumen usque ad clapam Busserolam, et inde eundo per Disuliam usque per Cimerelam…”.
Quest’ultimo è il citato flumen Arbiosum, confine naturale del territorio dal lato sud, mentre la clapam Busserolam era una cascina oggi identificata come la cascina Bosio. La Cimerelam è sicuramente la cascina Camarella; al contrario non è stata identificata la Disuliam, che in ogni caso doveva trovarsi sulla dorsale tra le attuali cascine S.Stefano e Costanza e, come dimostrano documenti posteriori, doveva trattarsi di un prato.
L’estensione dei territori è rimasta pressoché inalterata nel corso dei secoli e praticamente coincide con gli attuali confini amministrativi del Comune.
Nel corso degli ultimi decenni si completa la rete viaria, con la creazione di nuovi collegamenti che consentono un facile accesso dalle località più importanti della zona.

Sezioni

La vita politica dell’Oltregiogo è segnata dalla presenza dei Feudi Imperiali, una caratteristica e singolare presa di potere che ha lasciato un’impronta profonda, tuttora rinvenibile nell’accentuato particolarismo di tanti piccoli centri.

La ruralizzazione ed, in certi casi, lo spopolamento, sono fenomeni relativamente recenti; per tutti i secoli in cui si sviluppa la vicenda commerciale finanziaria della Repubblica, le comunità dell’Oltregiogo sono inserite nelle maglie del sistema economico che fa capo a Genova.

Tanto più singolare appare dunque la non integrazione delle terre feudali nel territorio della Repubblica. Questa situazione deriva da una precisa scelta dell’aristocrazia genovese che controlla i Feudi ed ha convenienza a non inserirli istituzionalmente nello Stato, ma ad usarli come base della propria potenza privata, sotto il simulacro del legame con il Sacro Romano Impero asburgico. Essi potevano, infatti, diventare ottimo rifugio in caso di rovesci finanziari o politici, oppure per sfuggire alla giustizia penale della Repubblica.

Tra le caratteristiche salienti dei Feudi imperiali c’è la loro persistenza in piena età moderna e l’evoluzione della base economica che, fin dall’origine, è solo in parte legata all’agricoltura, manifestando anche accentuate propensioni per il commercio e le attività produttive preindustriali; la ruralizzazione avviene nel XVIII sec. e totalmente nei primi decenni dell’Ottocento, col definitivo passaggio dal sistema politico-economico ligure a quello piemontese.

Nel corso dei secoli XVI e XVII, il feudo di San Cristoforo, data l’esiguità del suo territorio, non può assolutamente soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione (per l’epoca) molto densa. Il paesaggio agricolo della zona resterà, per moltissimo tempo, quello prodotto dalla colonizzazione cistercense del XIV sec., che aveva introdotto l’insediamento rurale sparso e bonificato larga parte delle foreste e dei boschi della zona.

La vita economica di S.Cristoforo faceva perno sul commercio, sui trasporti, sull’intermediazione, sfruttando la posizione strategica che esso occupava, proprio al centro di diverse entità politiche-istituzionali, a breve distanza da numerosi borghi.

Il passaggio dal sistema economico regionale ligure a quello piemontese ed il superamento della frammentazione istituzionale segnano una profonda trasformazione, in senso negativo, nella vita del paese.

L’unificazione della nostra Penisola, porta notevoli cambiamenti nella struttura politica ed economica di San Cristoforo, iniziano a prendere forma le prime attività artigianali e commerciali autonome, si diffonde ampiamente la piccola proprietà terriera, si intensifica il lavoro agricolo e avanza la viticoltura, che prende definitivamente il sopravvento sulle aree boschive.
La seconda metà del Novecento, porta con sé ulteriori modificazioni nel tessuto economico e sociale della nostra zona, poiché assistiamo al fenomeno, comune in ogni angolo d’Italia, dello spopolamento delle campagne, con il conseguente abbandono di terre e case, verso città, o comunque grossi centri, in cerca di un lavoro meno proibitivo e maggiormente remunerativo.

Recentemente invece, la tendenza si inverte, i giovani, pur avendo lavoro fuori, preferiscono fare i pendolari e restano in paese, ristrutturando le vecchie case, recuperando parte del centro storico ottocentesco, dando nuova linfa vitale ad un grande albero secolare che rischiava di scomparire.

Si riprende possesso della propria identità, in alcuni casi si torna a coltivare la terra, si iniziano a rivalutare le tradizioni, il territorio, l’antica vocazione vitivinicola, mentre riprendono forza le associazioni locali e ne vengono create di nuove, con l’attenzione rivolta al futuro e la consapevolezza dell’importante eredità ricevuta dalle generazioni passate.

“PARODI BRUCIA”

I PARODESI
TRIBUTANO IMPERITURA RICONOSCENZA
AL POPOLO DI S.CRISTOFORO
PER L’ABBONDANZA DEI SOCCORSI
LORO OFFERTI CON SLANCIO
DEGNO DI SOMMO ENCOMIO
NELLA LUTTUOSA CIRCOSTANZA
DELL’INCENDIO DEL PROPRIO PAESE
PERPETRATO DAI NAZIFASCISTI
IL 7 MARZO 1945
E PER LA LIBERAZIONE DI PRIGIONIERI
CADUTI IN MANO DI TEDESCHI
NELL’APRILE SUCCESSIVO
PREMI IDDIO
COSI’ NOBILE ESEMPIO
D’UMANA SOLIDARIETA’
8 SETTEMBRE 1945

Un’importante testimonianza della generosità dei Sancristoforesi, è ricordata dalla lapide apposta sul muro della chiesa, a perpetuo ringraziamento per l’assistenza prestata in occasione dell’incendio appiccato dai nazisti durante la II guerra mondiale al paese di Parodi. I Parodesi che subirono danni trovarono rifugio e, al mulino, un aiuto concreto in farina. “La lapide che, a guerra finita, i Parodesi portano a Sancristoforo, può chiudere nel segno di speranza per un futuro di rapporti umani civili, pacifici, solidali…”. (da: “ 7 marzo 1945: Parodi brucia” di Franca Guelfi).

Numerose sono le leggende che avvolgono il castello in un’aurea di misteriosa suggestione….

Si racconta che, all’interno del maniero, sia celato uno strano libro, in cui sono narrate storie terrificanti al punto tale che, chiunque le legga, pervaso dalla paura, non riesce più neppure ad avvicinarsi a San Cristoforo: risale agli anni Trenta del secolo scorso, l’ultima volta in cui qualcuno, trovato tale volume, abbia proprio reagito così…..

Si narra che una notte, intorno ai primi del Novecento, una signora abitante nei pressi del castello, venne svegliata da strani rumori provenienti dal parco interno. Incuriosita, si alzò, uscì ed entrò nei giardini: qui, sotto gli ippocastani, vide qualcosa di molto particolare. Una strana processione di persone bianco vestite, incedeva a passo lento, formando un cerchio; ciascuna di loro teneva in mano una candela accesa, e l’atmosfera del luogo e del momento era inconsueta e surreale ma, al tempo stesso, comunicava un grande senso di pace e di serenità.

Qualcuno diede a questa signora una candela, e la invitò ad unirsi al gruppo. Ella accettò e prese parte allo strano rituale.

Al termine di esso, tutti i presenti si dileguarono e la donna, rimasta sola, fece ritorno a casa. Appoggiò la candela sul comodino accanto al letto e tornò al suo riposo.

La luce del mattino ed il risveglio le fecero trovare una macabra sorpresa: quella candela spenta, lasciata sul tavolino da notte, si era trasformata in un dito mozzato!!!!!!!!!!

Nelle brumose serate autunnali, al suono delle campane del Vespro, c’è chi sostiene di aver visto apparire una figura femminile, al di là delle finestre del castello sulla sommità dell’antica torre.

Dicono si tratti della dama di compagnia a servizio presso l’ultimo marchese Spinola, donna dalle fattezze non particolarmente aggraziate: pare che proprio queste sue caratteristiche fisiche le abbiano permesso di rimanere per decenni accanto alla nobile famiglia, poiché la sua scarsa bellezza permetteva di valorizzare maggiormente, agli occhi del popolo, l’aspetto delle marchesine……….

Tradizione vuole che Napoleone Bonaparte, abbia trovato conforto e riposo in una delle camere del castello, in quei tumultuosi momenti che precedettero la Battaglia di Marengo.

Pare che, dopo la notte trascorsa al maniero, nei concitati attimi della partenza, abbia dimenticato il proprio cappello ed alcuni altri effetti personali, su di un inginocchiatoio posto accanto al suo letto. Questi cimeli rimasero per molto tempo in quella stanza (che da allora viene detta “la camera di Napoleone”), fino al giorno in cui un accidentale, piccolo incendio li distrusse, unitamente ad una parte delle suppellettili presenti nell’ambiente.

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